“Schegge” di Tonia Madaro


Quella prigione dell’anima era uno stato del suo inconscio che non voleva proprio accettare.

Era lì a guardare quel cielo stellato e a ripetersi che quella era la vita che lui aveva voluto, quello in cui aveva creduto, desiderato e finalmente realizzato, ma non era così e il suo Sé più profondo da qualche tempo spingeva e spingeva.

Poi finalmente un ricordo, la luce bianca e accecante della neve in una splendida giornata di sole, il vociare allegro dei compagni, la gioia infinita.

Era venuta giù inaspettatamente e il direttore della scuola aveva concesso il permesso di uscire nell’atrio a giocare, con quello che tutti noi ritenevamo una magia.

La neve era un evento a dir poco strabiliante per un paesino del sud dell’Italia, nel Salento, un paese talmente piccolo che non si trovava nelle cartine geografiche, più un villaggio che altro.

Ricordava l’affanno, dopo i primi cinque minuti passati a giocare a palle di neve, con le mani tremanti e gelide perché aveva tolto i guanti, voleva toccare quel manto soffice e candido. L’aveva odorato, assaggiato, avrebbe voluto metterlo in tasca e conservarlo per quando non ci sarebbe stato più. Le sue guance e quelle dei compagni sembravano frutti maturi, mele turgide e rosse, ciliege al posto del naso e il sangue scalpitante scorreva nelle vene, lo percepiva come non mai. Sbuffi bianchi uscivano dalle loro bocche calde, erano trenini a vapore impazziti che si rincorrevano, negli occhi un’accecante euforia. Tutto questo si era impresso nella sua memoria e poi con un atto di volontà era stato sepolto, volutamente dimenticato, perché un ricordo talmente bello poteva far male, poteva essere d’ostacolo nel raggiungimento degli obiettivi della sua vita. Aveva deciso di vivere in un altro posto del mondo, Londra, così lontana, così diversa, ma dove la neve era una condizione meteorologica naturale, scontata.

 Lì si sentiva al centro del mondo, lì era divenuto il manager di successo da lui desiderato. Lì la luce assumeva un altro colore, un altro senso, un altro valore. Le ombre erano meno contrastanti e quel grigiore freddo e piatto era quasi rassicurante.

Ma quella sera, quella sera, il cielo era limpido e stellato e lui nel guardarlo attraverso la grande vetrata del suo lussuoso appartamento, dall’attico di un palazzo prestigioso, si sentiva avvolto da una sensazione irreale. Era come se stesse galleggiando in una bolla di sapone e schegge di ricordi si alternavano alla realtà, guardava la vita attraverso il filtro della memoria, stava scivolando pian piano in un mondo surreale. Non aveva paura, anzi, quella sensazione di spiacevole oppressione che avvertiva da qualche tempo stava scomparendo per lasciar spazio a una strana euforia.

Uscì nella bolla attraverso il vetro e guardando dall’alto il mondo percorse a ritroso la sua vita. Quante cose aveva vissuto, ma quante altre aveva perso. Certo non poteva dirsi sfortunato, no, ma forse la sua solitudine, condizione per la quale aveva lottato rincorrendo un’idea di libertà, ora non gli sembrava poi così bella, così libera, quella padronanza della sua vita che sembrava avesse conquistato, ora gli appariva falsa, vuota, traditrice. Non sapeva più cosa fosse la felicità. Aveva tutto ma non aveva niente. Comprese come la vita scivoli via in un attimo quando rincorri qualcosa, comprese che nulla poteva essere meglio di una carezza, un abbraccio, un bacio affettuoso dato da una persona sincera. Comprese che aveva perduto il suo tempo e ora in quella bolla si sentiva in trappola. Così cominciò a premere su quelle pareti, con le mani e i piedi, con tutta la forza che aveva, voleva romperla, uscire da lì e al diavolo se fosse caduto.

Il tempo sembrava essersi annullato.

Poi un rumore, qualcuno bussava alla sua porta.

– Tesoro, la cena è pronta. Hai finito i compiti?

Sua madre entrò nella cameretta, si avvicinò allo scrittoio al quale era seduto, davanti alla finestra con l’affaccio al giardino, lo guardò e amorevolmente gli carezzò il capo.

– Dai, non essere triste. La neve si è sciolta, è vero è durata poco, ma guarda, guarda che bel cielo stellato. Domattina sarà una meravigliosa giornata.

Si chinò a baciarlo sulla fronte, poi andò via richiudendo la porta alle sue spalle.

Lui rimase lì ancora per qualche attimo, immobile, a fissare il cielo.

No, non aveva immaginato, qualcosa gli era arrivato dall’Universo, un dono, la possibilità di compiere un viaggio nel tempo. Staccarsi dalla realtà presente, andare nel futuro, per poter ricordare il passato. Una chance, ma questo ancora lui non lo sapeva, troppo piccolo per comprendere una cosa così grande.

Andò a cenare e tutto si svolse come sempre.

Ebbe altre esperienze come quella e un giorno si decise a parlarne.

In famiglia ascoltarono la sua storia poi sorrisero e gli dissero che aveva una grande immaginazione, i compagni invece risero di lui schernendolo col nomignolo, “ il matto”. I bambini a volte sanno essere davvero crudeli. Poi cominciò a ridere delle sue storie anche lui, prendendo in giro tutti perché aveva raccontato loro dei sogni, lui stesso si convinse che era stato tutto un sogno. L’idea di essere diverso lo spaventava, il giudizio della gente lo spaventava, quel giudizio dato spesso con troppa superficialità e che ti fa sentire strano, allontanato, solo, escluso dal branco.

Tutto trascorse nella più normale totalità. Crebbe e non fece più viaggi nel tempo.

La sua attenzione fu tutta per il raggiungimento della sua carriera futura, doveva studiare e fare di tutto per essere l’orgoglio della sua famiglia. Anche i suoi amici erano presi da una strana affannosa corsa al successo economico e professionale.

La vita cominciò a scorrere velocemente.

Così, arrivò finalmente il grande giorno. Partì ed ebbe tutto quello che la società gli aveva fatto vedere come un ambito traguardo e una sera davanti alla vetrata del suo appartamento mentre guardava spruzzi di stelle in un cielo inaspettatamente limpido, come un boomerang fu investito da tutti i suoi ricordi, assaporò l’amarezza del non aver accettato, non aver accolto quel dono, la tristezza di non aver lottato per difendere la sua diversità.
Tonia Madaro

Finalista Sezione C
VIII classificato
img_20150501_185214

Tonia Madaro, nata a Lecce dove risiede, è sempre stata animata dalla passione per l’arte e la scrittura. Frequenta il Laboratorio di scrittura creativa a  cura di Studio Rollo di Lecce.
Al termine del percorso è stato pubblicato un libro che raccoglie gli scritti dei partecipanti dal titolo: “Non trovo le parole”.


 

Questo articolo è stato pubblicato in Racconti il da .

Informazioni su premio letterario vitulivaria - memorial Gerardo Teni

La poesia è in noi.. Una dimostrazione di questo è il Premio “Vitulivaria”, dedicato alla memoria di mio padre Gerardo e al suo amore per la terra natìa. Il Premio “Vitulivaria” è un concorso letterario che lentamente si sta consolidando e sta conquistando un respiro nazionale tale da determinare un sempre maggior numero di partecipanti. Il Premio deve il suo nome agli elementi che caratterizzano il tacco salentino, decisamente sui generis sia per le caratteristiche morfologiche che per quelle antropologiche. Accarezzata dal vento e impreziosita da ulivi secolari, generosa e nello stesso tempo amara per essere stata a lungo sottoposta ad attacchi di popoli diversi, operosa ma anche impoverita da emigrazioni massicce verso un lavoro “garantito e sicuro”, la terra salentina ha vissuto una sua storia, parallelamente alla storia dell’Italia, ma sicuramente non ha perso la propria dignità e onestà, elementi distintivi della gente che vive in questo luogo, inebriata di vita, desiderosa di pace e, nello stesso tempo, inquieta come il vento che spira sui due mari. Terra con una connotazione privilegiata resta il Salento, un territorio di frontiera e di transito, crocevia di Oriente ed Europa, luogo di traffici culturali e commerci ma anche luogo essenzialmente poetico, di silenzio, di luce, di malinconia, di memoria, di “vigne di uve nere” e di “ulivi nel vento”, di torri, di chiese e di ninfee. Un Salento che si racconta con gli occhi, che parla di sé e del suo passato; che non è una città ma una costellazione di piccoli mondi pullulanti di vita e di storia, che dopo secoli di oblio e di silenzio escono dal loro torpore. La decisione di intitolare il Premio alla memoria di Gerardo Teni scaturisce da una duplice motivazione: il suo sentirsi "radicato" nel territorio salentino, al pari degli alberi d'ulivo che hanno secolari radici di tradizione ancestrale e la sua passione per la scrittura. Mio padre spesso mi raccontava del suo passato, dell'infanzia vissuta nel periodo della seconda grande guerra e mi ripeteva che gli sarebbe tanto piaciuto che io scrivessi un racconto sulla sua vita, sui mille avvenimenti interni ed esterni ad un'esistenza trascorsa tra momenti di dolore collettivo e individuale. Non ho ancora trasferito in pagine di storia la sua vita e la vita di tanti uomini che hanno vissuto momenti drammatici, ma almeno saprò ricordarlo nelle storie e nei versi di tanti valorosi amici di penna che vorranno portare avanti il premio "Vitulivaria".

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.