Non basterà certamente un racconto che ricordi un poetico “matto di paese” e l’omaggio che gli faccio nel titolo, (ovvero nell’accostarlo a quel famoso barbone cantato dal grande Enzo Jannacci, in “El portava i scarpe del tennis”), per rendere adeguato onore, dopo mezzo secolo, ad un personaggio che molto ha impreziosito la mia infanzia. Si trattava di “’Ntoniu ti la lana”, che era per tutti noi ragazzini che sguazzavamo dietro ai vicoli di via roma, in Francavilla Fontana, la persona che spesso ci trascinava verso i mondi lontani che la sua fantasia spalancava ai nostri voraci occhi di bambini.
Già, “’Ntoniu ti la lana”, era questo il soprannome che tutti gli riconoscevamo, per via di quel suo puzzare di pecora, già da lontano, che viveva in una lontana masseria, non so in quale agro della città degli Imperiali, a lavorare la lana. Arrivava nei vicoli, anche a ridosso di Natale, gli piacevano le luci colorate ed il disbrigo festivo tra le case. Era quasi annunciato da quel suo immanente odore di stallatico, sempre indossando le sue mitiche scarpe da tennis, rigorosamente color bianco e azzurro, mi pare della “Superga” ed anticipato da un simpatico “ciaf ciaf” che queste rimandavano alle nostre orecchie. Noi bambini, gli facevamo allegra corona, lo circondavamo in qualche modo e lui per uscirsene da questo allegro assedio dava il via a quella sorta di logorrea che gli prendeva quando rispondeva alle nostre impertinenti domande.
“Da dove vieni, ma è vero che non accetti mai passaggi dalle auto, che te ne vai sempre a piedi e sopratutto quante malattie hai avuto?”. ‘Ntoniu conosceva di già quelle richieste, erano più o meno quelle che in ogni angolo di Francavilla Fontana gli rivolgevano tutte le frotte di ragazzini che lo fermavano.
E allora si produceva in fantasmagorici racconti sulle qualità dei formaggi della sua masseria, sulle dolenti note dei rapporti con un fratello, forse un massaro; si dilungava sullo stato di salute delle “sue” pecore, oppure strologava di infinite tipologie di lana; ma poi per nostra fortuna e godimento spalancava davanti a noi incredibili narrazioni fantastiche e fiabesche. Potevano avere a che fare con draghi invincibili e dame assediate da infiniti spasimanti; castelli distrutti dalle orde dei saraceni, “quiddi ‘nfamuni” aggiungeva sprezzante; poi ponti levatoi che salvavano sempre “Edda”, ovvero lei, la bellissima principessa, dagli occhi azzurri; mentre il suo principe azzurro, “Iddu”, il bel principe dalla folta chioma bionda, pur precipitato nel fossato, si era salvato cadendo su un albero e arrampicandosi ad una provvidenziale fune, che le damigelle della pincipessa prontamente gli avevano offerto.
Noi ce ne stavamo seduti, mogi mogi, mentre lui, inanellava assalti e fughe, pugnali e dolci parole. Ntoniu, a suo modo aveva imparato a leggere, da autodidatta, formandosi su certi libri della editrice Salani, come avrei appreso dopo, che pubblicava belle storie illustrate dei tempi di Carlo Magno o tratti dall’Orlando Furioso.
Aveva una fervida fantasia e quantunque bonaccione e spaurito, come un cucciolo indifeso, se ne andava periodicamente per le contrade della nostra città a narrare a tutti, ma poi essenzialmente di fatto a noi ragazzini, tutte le belle, “storie ti ‘nna vota”, come ci diceva con l’allegria nel viso. “Ssititivi ca vi li contu”, era il suo modo di annunciare che la sua indomabile fregola narrativa stava per esplodere.
E noi ci mettevamo accovacciati, magari in un angolo dei vicoli stretti dietro a via roma; alcuni seduti sulle ampie scalinate che portavano alla casa di “Tonna Irene”, che ancora in quei primi anni sessanta del vecchio secolo, amava uscirsene di casa con una nera veletta calata sul viso, in una elegante e lunga auto nera, con tanto di solerte autista a farle cerimonia. Non so se fu su ordine dell’attempata signora, ma una sera proprio mentre ‘Ntoniu era in vena straripante nel narrare quelle storie ed addirittura stava ricordando a memoria passi di un libro che già m’erano sembrati all’ascolto a me conosciuti, accadde qualcosa che mai dimenticherò..
“ Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, e cortesie, l’audaci imprese io canto, che furo al tempo che passaro i Mori d’ Africa il mare, e in Francia nocquer tanto, seguendo l’ire e i giovenil furori d’Agramante lor re, che si diè vanto di vendicar la morte di Troianosopra re Carlo imperator romano.”
Aveva appena declamato, a memoria, con un trasporto da attore consumato questa parte iniziale del proemio dell’ “Orlando Furioso”, di Ludovico Ariosto e proprio mentre se ne stava in compunta e orgogliosa attesa del nostro sincero battimani, una oltraggiosa secchiata d’acqua, proveniente dal balcone di “Tonna Irene”, lo investì in pieno. Annunciata da una alterata ma invisibile voce femminile che proruppe in un definitivo ed adirato “Mò basta !”
Dapprima tutti ci dileguammo e poi, più addolorati che divertiti, ci riavvicinammo a ‘Ntoniu, che intanto sacramentava incredibili e volgarissime allusioni all’algida ed antipatica nobildonna. E poi ancora una volta gridava, come sempre accadeva, durante i suoi racconti, assorto ed ammiccante, rivolto stavolta al balcone soprastante, “Lu tiempu, lu tiempu”. ‘Ntoniu sempre conservava una candida bonomia nell’eloquio e un candore che sentivamo accomunarci : noi ragazzini per la nostra allegra e non maliziosa sfrontatezza, lui per quel suo rimanere bambino, un fanciullo che forse non aveva voluto crescere. Ecco forse perchè amava fermarsi sopratutto con noi ragazzini, nei giorni che precedevano il Natale, dalle parti del forno di Nina, dove sempre guadagnava qualche dolcetto e magari evitava le più grossolane e volgari allusioni che invece i grandi solevano riversagli, quando provavano a fermarlo, per via della sua evidente stralunatezza e semplicità.
Era un vero, se così si può dire, “matto di paese”, uno dei tanti che sciamavano allora, tra la fine degli anni cinquanta e i primi del sessanta, nelle nostre strade e tra le nostre vite; sempre portando nella loro rappresentazione personale però come una altezzosa alterità, come di chi già sa che sul serio non appartiene al mondo sovente ipocrita ed ingiusto delle persone”normali”; liberi come erano loro, gli innocui “matti”, ad esempio, di rovesciare bestemmie inenarrabili sui notabili del paese. Come era nel caso di Miminu “’Nnicci ‘nnacci”, che ho sentito apostrofare un esimio politico di quegli anni, colpevole di chissà quale imbroglio, con ingiurie che ad altri sarebbero costate la diffida; altri libero di vezzeggiarsi con un fascinoso passaggio per i corsi, con una allusiva camminata ed uno sguardo che tradivano una omosessualità nemmeno tanto repressa, come fu per “Tonino la passione”; come pure ancora libero di inviare alle procaci donne che si accompagnavano, ai loro mariti una frase ingiuriosa e volgarmente allusiva, che non provo nemmeno a rendere in italiano e che comunque ogni salentino dovrà pur saper tradurre, senza arrossire : “talli, talli, cu la varra, a calabbò, bobbò…”.( Per chi avesse bisogno d’un ulteriore indizio consideri che “Pascale alla calabbò”, questo era il suo soprannome, accompagnava questa frase facendo il gesto di semichiudere la mano destra e di farla poi muovere con forza dal braccio, in avanti, come a mimare e invitare all’atto sessuale).
Però l’apoteosi la raggiungeva lui ‘Ntoniu ti la lana, quando ci elencava, su nostra assillante richiesta, le famose 7 malattie che lo avevano colpito nella vita : “Eczema, accidentale, malaria, nefrite, spagnola, bronchite e…peronospora”.
Chiudeva proprio così, con questa malattia della vite, che lui si sarà convinto esser stata anche una tra le sue disgrazie della salute. Anche se poi come preso da una frenesia prorompeva sempre con quel solito finale sibillino : “Lu tiempu, lu tiempu…”, che egli scandiva parola per parola fissandoci negli occhi, come a rimarcare qualche sottinteso.
Che allora non coglievamo. Forse oggi, a ripensarlo nel tempo, quel richiamo ho finito per ammettere che non può che fare riferimento alla nozione che, come si dice, “il tempo è galantuomo”; ovvero che le sue gioiose pantomime, i suoi fantasiosi e malricordati racconti, sospesi tra l’esser fiabe o curiose fantasie che lui partoriva, erano doni bellissimi che lui ci consegnava . Forse alla stessa compunta nobildonna o alla sua acida servetta, che vollero riservargli quel gelato disonore, quella improvvida doccia, che lo tramortì.
Ed è stato ancora il tempo, nel dipanarsi della mia memoria, da quel cantuccio assorto e “fanciullo” che mi coltivo con leggerezza, a ridonarmi quel mio don Chisciotte personale, ai quali noi impertinenti ragazzini d’un tempo più lento, offrivamo il nostro essere Sancho Panza, cioè scudieri assorti ed accondiscendenti di “’Ntoniu ti la lana”.
Egli portava le scarpe da tennis, allora solo i “matti” le potevano portare con qualche plausibilità. Quei matti che mi regalarono quella bella porzione di sconclusionata libertà e leggerezza, uno sguardo sul mondo intriso di candore e trasognatezza, che sicuramente noi, i cosiddetti “sani” non capiremo e proveremo mai veramente.
Anche se, ora che ci penso, le scarpe da tennis oramai le portiamo per davvero tutti…
Mimmo Tardio
Finalista Sezione C
IV classificato

foto dal web
Mimmo Tardio, nato a Francavilla Fontana ma residente a Brindisi dove insegna Lettere nelle scuole superiori.Quale scrittore ho scritto e pubblicato : due romanzi autobiografici “via roma,94-La casa delPadre” e “Historietta” con Manni di Lecce, tre racconti autobiografici “Strade Maestre” con Liberetà di Roma ( finalista nell’omonimo premio nazionale nel 2007), il poema narrativo “Il bambino che era stato” con Ferrarelli & D’Andrea nel 2009; diversi saggi con Laterza su Raffaele Nigro, con Progedit sulla poesia dialettale brindisina in “Letteratura in Puglia 1970-2008”, sull’uso del giornale a scuola con La Nuova Italia di Firenze. Rracconti su diverse antologie, anche scolastiche , tra cui “le Storie e le Stagioni, narratori di Puglia del Novecento” a cura di Antonio Errico ; con la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (AR) un racconto in “Dieci anni di scritture” a cura di A. Maria Pedretti; nell’antologia “Vuoti a rendere” sul razzismo. Tiene da dieci anni corsi di scrittura autobiografica e creativa per l’Università della Terza Età G.Palazzo di Brindisi, raccogliendo migliaia di testi autobiografici, alcuni dei quali confluiti nel 2006 nell’antologia “Frammenti. Ha scritto e portato in scena, con l’ attori e musicisti, diversi monologhi narrativi, di tipo poetico ed autobiografico : L’otto settembre, Anni ribelli, Città della memoria; soggetti e sceneggiature cinematografiche. Tiene
corsi FSE, PON e POR, in scuole pubbliche sulla scrittura autobiografica e creativa, sull’Italiano, la creatività. Dal 2010 corsi sull’analisi e sulla scrittura del testo teatrale per la “Scuola d’arte drammatica Talìa” di Brindisi.. Collaboro dal 1998 con “La Settimana di bambini del Mediterraneo” di Ostuni con laboratori sulla narrazione autobiografica. Ha portato in scena, eventi culturali, di tipo musicale e poetico, su Fabrizio de Andrè, Alda Merini e presentato scrittori.Ha collaborato con l’Università agli Studi di Bari, sulla scrittura di Raffaele Nigro.