Archivi categoria: Poesie e Racconti

I poeti e gli scrittori partecipanti con le loro opere di poesia e di narrativa

“Lettera al padre” di Alessandra Corbetta – Finalista


Premio letterario “Vitulivaria” 2019

Sezione poesia a tema libero

finalista

Menzione d’onore

 

Lettera al padre

Alessandra Corbetta

 

Non ci siamo mai avuti:

cadono davanti a noi tutti i colori

azzurro terribile, da impallidire

trasforma in trasparenza l’ingombro

di un’esistenza

la tua, la mia?

Passa un tram lì in mezzo

non ci sentiamo più

non ci siamo mai sentiti

sulle note di Sinatra

il tempo di una canzone non è più tempo

di concederlo ascoltando

in due stanze diverse le stesse note:

guardami, mi hai mai guardata?

 

Gli Altri maledetti! Lì davanti a ricoprirmi,

a non vedermi a non avermi

senza abbraccio, senza guida mi hai lasciata…

Fragile follia, mal di vivere roccioso, gli Altri ancora:

mi assomigli, ti assomiglio?

Insegnami un’altra canzone

la terrò a mente,

addormenterà le mie mancanze. Perché?

 

Perché non ci siamo avuti mai,

papà?

 Alessandra Corbetta

 Lo struggente messaggio al padre è affidato a un brano i cui versi fluiscono inarrestabili e consapevoli, lasciando intravedere, attraverso la quotidianità di un ambiente metaforicamente rappresentato quasi in itinere, la stessa desolante presa di coscienza di un irrisolto legame affettivo con un padre assente, ma disperatamente presente nel cuore di una figlia.

Alessandra Corbetta è   nata   a   Erba   il   4   dicembre   1988. È dottore di ricerca in Sociologia della Comunicazione e dei Media e, in Social Media Communication, ha conseguito anche un master; è stata responsabile Web e Social Media Director de La Casa   della   Poesia   di   Como,   per   la   quale   ha   creato   anche   il   sito http://www.lacasadellapoesiadicomo.com   e   con   la   quale  ha  collaborato come Content Writer e  nell’organizzazione di reading ed eventi poetici, tra cui il Festival Europa in Versi. Ha scritto per la rivista culturale Alfabeta2 e per Clandestino. Per Flower-ed ha pubblicato la monografia poetica “L’amore non ha via” e per Silele Edizioni il romanzo “Oltre Enrico (Cronistoria di un Amore sul finale)”. Scrive di poesia e cultura per il blog Tanti Pensieri e di New Media e società per il giornale online Gli Stati Generali e per il Progressoline. Per il blog Menti Sommerse dirige la rubrica poetica “I Fiordalisi”. Ha vinto e ricevuto segnalazioni di merito a diversi   concorsi   poetici,  tra  cui,   per  due   anni   consecutivi,   il  premio  della   giuria   a “Ossi di seppia”. Per Lieto Colle è uscita nel 2017 la raccolta di poesie “Essere gli altri”. Tutta   la   sua   attività   scientifica e poetica è disponibile sul sito web http://www.alessandracorbetta.net

 

“Il profumo dell’attesa” di Salvatore Lanno-Finalista


Premio letterario “Vitulivaria” 2019

Sezione poesia a tema libero

finalista

Menzione d’onore

Il profumo dell’attesa

Salvatore Lanno

 

Mi rifugiai dietro i tuoi sorrisi,

per capire come frenare i miei pensieri.

Cominciai a correre ad occhi chiusi,

per dirigermi verso le tue strade

a me sconosciute.

Ascoltai il silenzio delle tue parole,

per sentire il tuo urlo di arresa.

Poi, mi allontanai con tutti i tuoi ricordi

per farti riacchiappare la vita, la tua vita.

Quel bisbiglio assente tanto atteso:

quel ti amo mai sopraggiunto

ha modificato i miei respiri.

Avvolgenti acquazzoni

somiglianti ai tuoi abbracci

svaniscono dietro nostalgici tuoni.

Aspetterò sogni reali dove

il tuo sguardo bloccherà il mio battito

e l’ondulare dei tuoi capelli

farà scivolare dolcemente le mie lacrime.

Nel tragitto tortuoso della mia mente,

mi rimane quella costante presenza

della tua assenza.

Salvatore Lanno

 

Belle immagini poetiche descrivono in modo peculiare e pregevole i momenti di un’attesa frustrata. Aleggia nel brano una diffusa malinconia. Ottimali le frequenti citazioni ossimoriche.

 

Salvatore Lanno, siciliano di nascita e milanese di adozione. Ha studiato Saxofono al Conservatorio di Musica Statale “Antonio Scontrino” di Trapani con Luca Calò, perfezionandosi con Giancarlo Bini, Domenico Dolci e Lea Pavarini. Si è laureato in Didattica della Musica e dello Strumento al Conservatorio di Musica Statale “Giuseppe Verdi” di Milano, Istituzione MIUR-AFAM (Alta Formazione Artistica Musicale del Ministero dell’Università e della Ricerca).Appassionato componente del DSU-Comitato Regionale per il Diritto allo Studio ha seguito professionalmente corsi di Semiografia, Composizione (arrangiamento e improvvisazione), Storia della Musica, Pedagogia, Psicologia, Teoria della Musica, Direzione di Coro e Repertorio Corale, Metodologia dell’insegnamento strumentale, Musica da camera e d’insieme, Informatica musicale.Fra i suoi docenti vi sono nomi prestigiosi: F.Bellomi, L.Burini, F.Gatta, L.Di Fronzo, G.Cospito, F.Moretti, R.Tajè, R.Senigallia. Successivamente si è perfezionato partecipando a diversi Masterclass con i maestri F.Mancuso, M.Ciaccio, A.Mollica, P.Bonnet, M.Pangrazzi, F.Alba. Attivo esecutore anche in concerti corali, ha partecipato a diversi spettacoli teatrali e di consapevolezza corporea. Nel milanese ha eseguito concerti con il suo saxofono, alcuni dei quali con la pianista A.Incardona. Iscritto alla SIAE (Autore/compositore).

Oltre alla passione per la Musica, Salvatore ha sempre creduto fortemente nei valori della vita sociale: per sette anni volontario soccorritore e autista per l’ANPAS-Associazione Nazionale Pubblica Assistenza Sociale presso la Croce Verde di Trezzano S/N, la Croce Rosa Lombarda di Milano e la Croce Verde di Corsico, oggi, sostenitore dell’AMS-Associazione malattie del sangue.

Nel 2012 fonda l’Associazione “La Piccola Orchestra”, di cui è l‘attuale presidente ed entusiasta insegnante, la quale ha portato in luoghi di cura e di sostegno assistenziale del Nord-Italia momenti di partecipazione concreta, attraverso le esibizioni dei suoi giovanissimi musicisti, aiutando chi nella vita si trova in uno stato di bisogno o di sofferenza. Associazione che dopo due anni si iscrive al registro delle ONLUS.

Ha insegnato musica in scuole Primarie e dell’Infanzia di Milano e della sua Provincia, curando l’alfabetizzazione musicale e l’animazione giovanile attraverso diversificati progetti.

Esperienze collaterali molto diverse lo hanno portato ad essere Arbitro di Calcio, tesserato FIGC-Federazione Italiana Giuoco Calcio, passione che lo avvicina all’esperienza di allenatore della squadra giovanile A.S.D. Noviglio.

E’ anche Giornalista Pubblicista, iscritto all’ordine dei giornalisti della Lombardia, e direttore responsabile della testata giornalistica “Sapendo Leggendo”; collabora inoltre con vari periodici sportivi e non sportivi del nord Italia. Ha frequentato il corso di dizione e conduzione radiofonica con Patrik Facciolo (Radio Italia solomusicaitaliana).

Nel 2011 ha pubblicato per Sovera Edizioni di Roma il romanzo “Il ricordo del 9” e nel 2013 l’ulteriore libro “La vita di tutti noi” per la Casa Editrice Aracne, entrambi presenti alla Fiera Internazionale del Libro di Torino, di Francoforte e di Roma.

Nei primi mesi del 2016 pubblica i suoi libri in versione ebook: presenti in tutti i principali portali. Nello stesso periodo, scrive la prefazione del romanzo “Di mare in cielo” di Rossella Paone, giornalista-scrittrice.

Nell’ aprile 2016, a Livorno, disputa una partita di calcio con la Nazionale Italiana Scrittori.

Nel maggio 2016, una lettrice condivide una frase (un pensiero, un modo di “vivere”) del libro “La vita di tutti noi”. Marchia la sua pelle, tatuandosi al braccio la frase: “Se per sempre ci sarà un domani oggi vivo sapendo che esiste”.

Nel giugno 2016, in una tesi per un esame di terza media di una studentessa, viene proiettata in una Lavagna Multimediale dell’ istituto “G. Perlasca” di Via Ramino Fabiani a Roma, la citazione: “I binari della vita ti porteranno in un’orchestra di ‘emozioni’. Suona qualsiasi ‘sentimento’ qualcuno ascolterà”.

Nell’ agosto 2016 con l’associazione di Don Mazzi, “Educatori senza Frontiere”, è ospite in una comunità per ex-tossici dipendenti in Honduras, curando (con altri) un progetto di animazione per poi riproporre spettacoli alle scuole della zona.

Nel dicembre 2016 vince la gara creativa versi in cioccolato, con la poesia “C Come Cioccolattosa”. Evento organizzato dall’Associazione Culturale “Poesie Metropolitane” di Napoli. Poesia stampata nell’involucro di tavolette di cioccolato fondente prodotte e vendute da “Il Frutto della Passione” di Battipaglia (Salerno).

Nell’aprile 2017, riceve una “Menzione Speciale” della giuria per la poesia “Dedizione Delinquente” al Premio Letterario “Vitulivaria” di Novoli (Lecce). Poesia inserita nell’antologia.

Il 17 giugno 2017, come organizzatore e Presidente della prima edizione del Concorso Nazionale Letterario “Artisti” per Peppino Impastato, coordina la cerimonia di premiazione presso la sala comunale di Cinisi. La serata è stata impreziosita dai giurati: il giornalista Michele Cucuzza (presidente), la scrittrice Vittoria De Marco Veneziano, la giornalista Laura Spanò, il maestro di musica Francesco Gatta e l’attore Alessandro Idonea. Presenti anche il presidente di Casa Memoria, Luisa Impastato, e il candidato premio Nobel Alessio Arena. L’evento è stato presentato da Sandra Pizzurro.

Nel luglio 2017 la frase/citazione: “Un insieme di emozioni che ‘stordiscono’. Respirare amore, impregnarsi di sentimenti genuini”, è presente sulla fascetta della copertina del libro di Rosa Mancini, “Monologo di un abbandono”.

Nell’agosto 2017, ancora con la poesia “Dedizione Delinquente”, è tra i finalisti al Premio Letterario Giornalistico “ArgenPic” di Tarquinia Lido (Viterbo). Poesia inserita nell’antologia.

Nel settembre 2017, viene nominato Grande Membro onorario dell’Unione Mondiale dei Poeti dal Cavaliere Silvano Bortolazzi.

Nell’ottobre 2017, pubblica con la casa editrice LFA Publisher, una favola per bambini: “Il leone prepotente”. Libro illustrato da Riccardo Salafrica.

Nel novembre 2017, sempre con la poesia “Dedizione Delinquente”, riceve la “Menzione di Merito” al Premio Nazionale di Poesia Inedita “Altre Parole d’Amore” di Catanzaro.

Nello stesso mese, al Premio Internazionale “Michelangelo Buonarroti” di Seravezza (Lucca), riceve il Diploma d’Onore con Menzione d’Encomio per la poesia “Comico”. Poesia inserita nell’antologia.

Nel dicembre 2017, con la poesia “Conquista Confortevole”, è tra i finalisti al Concorso Nazionale “Giuseppe Gioachino Belli” di Roma. Poesia inserita nell’antologia.

Nel gennaio 2018, la poesia “Essere” viene inserita nell’antologia “Le schegge d’oro” del prestigioso Premio Letterario Internazionale “Il Club dei Poeti” di Melegnano (Mi).

Il 3 febbraio 2018, presso la Biblioteca Comunale di Calatafimi-Segesta (TP), presenta la favola “Il leone prepotente” e dona le sue pubblicazioni agli scaffali della biblioteca. Presenti alla serata: Vito Sciortino, il sindaco e Manuela Fanara, assessore alla Pubblica Istruzione.

Nel febbraio 2018, parte il tour “Qui si reagisce o si perisce” con la favola sul bullismo “Il leone prepotente”. Prendendo spunto dalle tappe della Spedizione dei Mille di Garibaldi, il tour si espande in varie scuole d’Italia: 19/02-Bareggio (MI), 22/02-San Pietro All’Olmo (MI), 28/02-Magenta (MI), 02/03-Roma, 15/03-Cinisi (PA), 16/03-Milazzo (ME), 17/03-Melito di Porto Salvo (RC), 26/03-Milano, 04/04-Quarto (GE), 13/04-Talamone (GR), 01/05-Napoli, 07/05-Calatafimi (TP), 08/05-Marsala (TP), 09/05-Palermo.

Nel maggio 2018 viene nominato “Autore dell’Anno” 2017/2018 dalla casa editrice LFA Publisher con la seguente motivazione: …per aver, col suo Leone Prepotente, dato uno “schiaffo” al bullismo, portando il messaggio del libro nelle scuole d’Italia, con l’incipit; “Qui si reagisce o si perisce”.

Nel giugno 2018, La favola “Il leone prepotente” ha fatto parte del progetto ‘Compren-diamoci’ svolto nell’ Istituto Comprensivo di Cinisi (Pa) dall’ insegnante Maria Concetta Salamone coadiuvato dai docenti D.Carollo, S.Bommarito, E.Pulcini, N.Sciascia e dal dirigente scolastico B.L.Bartolotta.  …”Gli alunni, dopo la lettura e la comprensione in classe, hanno illustrato i vari personaggi, hanno eseguito schemi motori mimando con il corpo i personaggi  (leone, scoiattolo, tartaruga) con ritmi e andature differenziati. Tra le varie fasi/situazioni di apprendimento ci si è soffermati sul messaggio del racconto, cercando attraverso esempi concreti di veicolare ai bambini messaggi positivi: il valore intrinseco a ciascun essere umano, il potere dell’auto tra pari, il rifiuto di qualsiasi forma di sopraffazione e prepotenza”. (M.C.S.)

Nell’agosto 2018 la poesia “Papà” è stata menzionata dalla giuria tecnica del Premio Nazionale “Parole in viaggio” per aver riscontrato grande originalità, ottima forma della stesura e accattivante tematica trattata. Premio Organizzato da Lupi Editore, Sulmona (L’Aquila).

Il 24 ottobre 2018, partecipa al popolare contest #ioleggoperchè con l’attrice, presentatrice, regista Elena Astone. L’autrice legge/recita magistralmente la favola “Il leone prepotente” davanti ai bambini e ai genitori dell’Istituto Comprensivo “Da Vinci” di Cornaredo, nella libreria Mondadori di Arese (MI).

Nel novembre 2018, con la poesia “Papà”, è tra i finalisti al Premio Letterario Nazionale “Virgilio in Antica Atella Città di Frattaminore” a Orta di Atella (Caserta).

Nello stesso mese, pubblica con la casa editrice LFA Publisher, una raccolta di poesie/tautogrammi: “Il gioco poetico delle lettere”. Prefazioni di Maria Rosaria Teni e Walter Lazzarin.

Nel dicembre 2018, attraverso l’associazione ONLUS “La Piccola Orchestra”, dona all’Ospedale “San Paolo” di Milano i libri del Concorso Nazionale Letterario “Artisti” per Peppino Impastato che avevano partecipato alla competizione. Evento “presente” anche sul calendario dell’associazione AVO (Associazione Volontari Ospedalieri Onlus).

Nel febbraio 2019, parte il tour “Il ricordo della vita di un leone che giocava con le lettere e con le note”. Attraverso le sue pubblicazioni (Il ricordo del 9, La vita di tutti noi, Il leone prepotente, Il gioco poetico delle lettere) “crea” un tour creativo, dinamico, misto…  in giro per scuole, piazze, librerie, oratori, biblioteche…:  28/02 Palermo, Scuola Primaria “Via del Vespro” /Laboratorio di poesia – 01/03 Carini (PA) Istituto Comprensivo “Calderone-Torretta”/Incontro sul bullismo – 01/03 Vita (TP), Scuola Primarie “Bruno” e “Capuana”/Incontro sul bullismo e Laboratorio di poesia – 02/03 Trapani, Panificio “Bernardo”/Tautogrammi al ‘forno’ – 10/03 Gudo Visconti (MI), Oratorio “Santi Quirico e Giulittta”/L’espressione delle note e la musica contemporanea – 17/03 Pavia, Piazza Petrarca/Suoni di strada – 25/03 Perugia, Biblioteca Comunale “Villa Urbani”/Incontro sul bullismo/Laboratorio di poesia – 29/03 Corsico (Mi) Scuola Primaria “G. Galilei”/Incontro sul bullismo – 31/03 Vermezzo con Zelo (Mi) “Biblioteca dell’orologio”/Incontro sul bullismo – 13/04 San Pietro All’Olmo (Mi), “Casa della Musica”/Concerto Corpo Bandistico S. Pietro All’Olmo – 17/06 Milano, Metro M2/”Suoni Metropolitani”.

Nell’aprile 2019, riceve una “Menzione d’Onore” per la poesia “Il profumo dell’ attesa”, e una “Segnalazione di Merito” per il racconto “Le onde del mare” al Premio Letterario “Vitulivaria” di Novoli (Lecce). Opere inserite nell’antologia.

Nel mese di maggio, dopo aver curato e scritto la prefazione, viene pubblicato il libro “Al di là del mare. Il viaggio del piccolo Jonas” di Zina Cipriano, insegnante-scrittrice. Ospite alla prima presentazione dell’ opera, presso la sede della Casa Editrice “La Zisa” di Palermo.

Nello stesso mese, riceve una “Menzione d’Onore” per la poesia “Il profumo dell’attesa” al Concorso Letterario Nazionale “Argentario” di Monte Argentario (Grosseto)

L’11 maggio nelle vesti di Presidente del Concorso Nazionale Letterario “Artisti” per Peppino Impastato, organizza per la seconda edizione, la cerimonia di premiazione al Centro Asteria di Milano. Presenti alla serata: Michele Cucuzza giornalista-presentatore (presidente di giuria), la cantautrice di X-Factor Cassandra Raffaele, la giornalista-scrittrice Alessandra Sala, la comica di Zelig Maria Rossi, il Capitano del Comando dei Carabinieri di Milano Corso Magenta Fabio Manzo, la presentatrice Claudia Vigato e l’attore de “La mafia uccide solo d’estate” Carmelo Galati che ha collaborato con il resto della giuria. http://www.salvatorelanno.it/concorso-nazionale-letterario-artisti-per-peppino-impastato

Il 17 maggio 2019, con la presentazione della favola sul bullismo “Il leone prepotente”, partecipa al “Maggio Letterario” organizzato dalla Scuola Primaria “Galileo Galilei” di Corsico (Mi) per le classi terze.

Nel mese di giugno 2019, cura e pubblica l’antologia della seconda edizione del Concorso Nazionale Letterario “Artisti” per Peppino Impastato: “Il rumore del silenzio” . Con la prefazione del giornalista Michele Cucuzza e il racconto comico di Maria Rossi.

Il 7 di settembre 2019, si classifica al 7° posto con la poesia “Papà”, al Concorso Nazionale di Poesia “Italo Carretto” di Bardineto (Savona).

Il 28 settembre 2019, si classifica al 4° posto sempre con “Papa”, al Concorso Nazionale di Poesia e Narrativa “Vittorio Alfieri” di Asti.

Il 26 ottobre 2019, riceve una “Menzione di Merito” per la poesia “Silenzi scroscianti”, al Premio Internazionale di Poesia in lingua italiana “Città di Siderno” a Siderno (Reggio Calabria).

Il 2 novembre 2019, si classifica al 1° posto con la pluripremiata “Papà”, al Premio Culturale Nazionale “Il Museo del 900-L’arte moderna a Milano” seconda tappa del “Torneo Unicamilano”. Opera che risulterà vincitrice assoluta tra le tre tappe del torneo.

Nello stesso mese, dopo le presenze nei vari concorsi letterari, prosegue il tour “Appuntamenti Sparsi”: 23/11 CET (Centro Europeo Toscolano) come finalista del concorso “Scuola Autori di Mogol” ad Avagliano Umbro (Terni) per partecipare al seminario con lo stesso artista. 30/11 BUK/Festival della piccola e media editoria di Modena. 09/12 Donazione dei libri della 2^ edizione del Concorso Nazionale Letterario “Artisti” per Peppino Impastato all’ospedale “San Paolo” di Milano. 15/12 Mercatino di Natale di Vanzaghello (Milano). 25/12 Concerto di Natale con Sax e coro presso la Chiesa “SS. Quirico e Giulitta” di Gudo Visconti (Milano).

Nel mese di gennaio la poesia “Papà” è presente nella prestigiosa agenda “Luoghi della bellezza 2020” con altri artisti/pittori e poeti selezionati per la rubrica creata dalla casa editrice “Luoghi Interiori” di Città di Castello (Perugia).

Nello stesso mese, prosegue il tour “Appuntamenti Sparsi”: 18/01 Salone della Cultura di Milano, esposizione/vendita dei libri. 03/02 RSA “Madonna della neve” per un laboratorio sui tautogrammi a Chiuro (Sondrio).

“Chronos e Kairos” di Marco Furia – Finalista


Premio letterario “Vitulivaria” 2019

Sezione poesia a tema libero

finalista

Menzione d’onore

Chronos e Kairos
Marco Furia

Orsù dunque mio eterno nemico

cala il sipario sul tuo regno di terrore

non più segnerai col tuo incedere il volto amico

la tua essenza è per me un orrore

 

Con la paura del tuo scorrere li tieni schiavi

vite in catene forgiate nella paura

io vincerò dove han fallito i miei avi

tu sei il male ed io la cura

 

Mai più stroncherai giovani vite

mai più li priverai dell’immortalità

mai più li ridurrai a carcasse avvilite

mai più ruberai loro l’eternità

 

Non più lacrime, non più dolore

non più genitori a piangere i figli

non più corpi senza vita, senza ardore

nessun più strapperai coi tuoi artigli

 

Eccomi dinanzi a te mio sfidante

sono il tempo, maestro dell’umanità

perdona il mio lento incedere costante

e la mia pazienza, che a te par viltà

Tu mi accusi di essere un tiranno

di uccidere l’uomo ed i suoi cari

di portare all’umanità morte ed inganno

di arrecare supplizi millenari

 

Ma son dunque io il male assoluto?

son io della vita il calvario?

senza di me quali

conquiste avresti ottenuto?

io sono il male necessario

 

Io non sono l’antitesi della vita

ma ciò che le dona il suo valore

senza di me la via sarebbe smarrita

senza di me sarebbe l’orrore

 

Senza di me non esiste l’umanità

senza di me, kairos, non avresti occasione

di rendere ogni istante intriso di singolarità

di dare all’umano tempo gloria e valore

 

Non sono io l’umano nemico

ma nel lasciarmi scivolare inutilmente

non porto via nessun amico, ma

lo rendo immortale, eterno in ogni mente.
Marco Furia

 Il brano appare assai pregevole sia per la innovativa titolazione che per la struttura -dieci quartine a rima alternata – attestanti una conoscenza profonda dell’ars dictandi. I riferimenti letterari, la tematica e il lessico sempre puntuale dimostrano altresì un retaggio culturale degno di nota.

MarcoFuria, nato a Campi Sal.na (Le), classe 83, laureando al Corso di Laurea Magistrale in Psicologia applicata, clinica e della salute indirizzo Psicologia della devianza e sessuologia, presso l’Università degli studi de L’Aquila. Laurea in Scienze Psicologiche Applicate all’Università degli studi de L’Aquila con la tesi dal titolo: La Psicologia del profondo nella filmografia horror: “Freddy Krueger, una metafora del confronto con l’Ombra”. Autore del libro “L’ombra del cavaliere oscuro”, per i tipi di Shatter edizioni. 2° classificato al premio di poesia Filippo Fasanelli nel 2018.

“Nel cuore della terra” di Carlo Stasi – Terzo Premio


Premio letterario “Vitulivaria” 2019
Sezione poesia a tema libero
terzo premio

Nel cuore della terra
Carlo Stasi

 Alle vittime di Marcinelle

 

Nel cuore della terra

i nostri corpi son sepolti

nel carbone che ha acceso

le nostre speranze

che ha annerito i nostri volti

che ha tolto il respiro

ai polmoni bruciati

della nostra anima

 

nel cuore nero della terra

fossili siamo rimasti

noi partiti per tornare

con la nostra terra

rossa dentro il cuore

 

ma non siamo più tornati

ai campi abbandonati

al sole al mare al vento

nel cuore della terra più nera

son sepolti i nostri corpi

i nostri cuori son rimasti

sepolti tra gli ulivi del Salento

1986
Carlo Stasi

La mancata presenza di lettere maiuscole all’inizio di ciascuna strofa conferisce una sensazione di desolata immane tristezza alla descrizione assai cruda di una tragedia, quella di Marcinelle, purtroppo legata al tema della forzata emigrazione e ad un lavoro da schiavi, nelle viscere della terra, che fine non ha. La discrasia tra i corpi e il cuore, che apre e chiude il brano, colpisce il lettore come un pugno nello stomaco.  

[NdA]
Nella Miniera di Marcinelle (Belgio) morirono ( 8 agosto 1956) 262 persone, di cui 132 italiani, 15 dei quali leccesi: Pompeo Bruno, Roberto Corvaglia, Donato Santantonio, Vito Vennenneri e Rocco Vita di Racale, Santo Martignano, Pasquale Merenda e Salvatore Ventura di Tuglie, Salvatore Capoccia e Francesco Palazzodi Salice, Pasquale Stifani di Taurisano, Cosimo Ruperto di Alezio, Carmelo Serrone di Carpignano, Cesario Perdicchia di Melissano e Salvatore Cucinelli di Gagliano del Capo.

Campo ulivi

 

 

Carlo Stasi è nato a Berna (Svizzera) il 31 luglio 1960, da padre di Acquarica del Capo (Lecce, Puglia) e madre di Salve. Iscrittosi alla Facoltà di Lingue presso l’Università di Bari, ha pubblicato le prime sillogi poetiche: POESIE (Gabrieli, Roma 1981), – LA SPERANZA (Ricerche Poetiche) (Schena Editore, Fasano 1984) -Premio Martina Franca 1984- . Durante gli anni universitari ha lavorato in Inghilterra ed ha collaborato col regista Nico Cirasola alle attività culturali del Centro Sperimentale di S. Teresa dei Maschi di Bari organizzando la prima mostra-performance di Poesia Visiva all’Expo-Arte della Fiera del Levante di Bari (1984). Ha tenuto altre mostre-performances di poesia visiva dal titolo “Verso il Futuro” a Milano (1990), Como (1997, 1998), Tradate (1997), Maglie (2000), Lecce (2001-2), Brindisi (2013), ecc. Laureatosi con lode (1984) con una tesi in Filosofia del Linguaggio su Walpole ed il Castello di Otranto (relatore il semiologo Prof. Augusto Ponzio) ha insegnato prima italiano agli stranieri a Roma (1985-6), quindi Lingua e Letteratura Inglese nelle scuole superiori di Como e Varese.  (1986-1999). Ben quattro edizioni ha avuto un libro dedicato al Salento, dove si è definitivamente trasferito, ed al Capo di Leuca – LEUCASIA (racconti, disegni e poesie) (Edizioni Leucàsia, Presicce 1993; seconda e terza edizione 1996, quarta edizione 2001) prefatto da Vincenzo Guarracino, e presentato ufficialmente (3.8.2001) a Santa Maria di Leuca da Gino Pisanò. (Università di Lecce). Per aver creato nel 1993 la “leggenda” di Leucàsia, Aristula e Melisso ha ricevuto i premi Terre d’Oltremare (2016) e L’Eccellenza del Territorio (2016).  Al 2001 risale la pubblicazione del poemetto: – DANZA DEI 7 PENSIERI (Bollate 2001). Ha scritto i saggi Otranto e l’Inghilterra (Argo, Lecce 2003), Otranto nel Mondo (Argo, Lecce 2004), Vittorio Bodini, poeta dell’assenza (Meltemi, Roma 2008), ed il volume: – SONO NATO CANTANDO… TRA DUE MARI (radici e canto nella poetica di Franco Simone, cantautore salentino) (I Quaderni del Bardo Edizioni, Sannicola 2016), prefazione di Eraldo Martucci (Nuovo Quotidiano di Puglia). – OTRANTO NEL MONDO (dal “Castello” di Walpole al “Barone” di Voltaire) (Editrice Salentina, Galatina, luglio 2018).  – DIZIONARIO ENCICLOPEDICO DEI SALENTINI (Vol. I, A-L; Vol. II, M-Z) (Edizioni Grifo, Lecce, dicembre 2018), prefazione di Alessandro Laporta (Università del Salento). È inserito in numerose antologie poetiche e volumi collettivi, Membro della Società di Storia Patria sezione di Maglie-Otranto-Lecce, collabora con articoli, saggi, recensioni, racconti e poesie a quotidiani (Nuovo Quotidiano di Puglia, Gazzetta del Mezzogiorno, Provincia di Como, ecc.), riviste (Apulia, ecc.) o in volumi collettanei.

 

“Cammina il tempo” di Marisa Cossu – Secondo Premio


Premio letterario “Vitulivaria” 2019

Sezione poesia a tema libero

Secondo Premio

Cammina il tempo
(sonetto) ABAB ABAB CDE EDC
Marisa Cossu

Cammina il tempo, né mai si riposa.

Il mondo muta, tutto giunge a quiete,

cadono stelle e l’ombra di ogni cosa

segue la scia di flebili comete;

 

trascolorano i cieli in silenziosa

concava notte, dove senza rete

affonda l’esistenza già corrosa

e si discioglie in lacrime segrete.

 

Dove sarà la trepida speranza,

avrà pietà l’Eterno che ci attende

nell’infinita vastità del cielo;

 

ma non vedremo che in un tenue velo

la luce che  per noi qualcuno accende

da quella insuperabile distanza.
Marisa Cossu

 

La conoscenza di strutture e figure retoriche, nell’alternanza delle rime tipiche del sonetto, rendono pregevole il brano. Le immagini poetiche, espresse in un linguaggio aulico e pregnante, sono particolarmente suggestive.

ph Eleonora Mello

“Il rumore della miseria” di Maria Rosaria Vadacca – Primo Premio


Premio letterario “Vitulivaria” 2019

Sezione poesia a tema libero

Primo Premio

 

Lucida di pioggia è come seta la strada

tra le nate gocce, preziosi cristalli,

che ricamano fredde i rami

e l’erba si fa strada senza forza

tra le pietre rotte,

abbandonate

al distacco e al destino.

Zirla il tordo fradicio

correndo alla sua meta

tra ali di gente frettolosa.

Nell’aria umida, odore di muschio

e acre fumo di legna e olivo

mentre cala la sera che indossa,

femmina,

il velluto blu.

Ammiccano sonnecchiando le luci,

tra la pioggia un uomo è solo,

allunga una mano,

coperto dal freddo

e dalla misera pietà.

Offre bramoso il lercio cappello,

solo un sorriso aspetta come dono

perché agli occhi di chi guarda e passa

non valga, come straccio bagnato,

meno di niente.

Maria Rosaria Vadacca

 

Il titolo originale del brano racchiude belle immagini poetiche che, con vocaboli aulici e pregnanti, mettono in luce una vicenda, purtroppo non rara, anzi spesso reiterata, di una condizione che umana non deve e non può essere. Nello sfondo, una fredda realtà, cose ed animali, partecipano alla desolazione dell’uomo.

“Con la coda dell’occhio” di Gabriele Andreani


Premio Vitulivaria 2017 – IV edizione

Con la coda dell’occhio
Gabriele Andreani
Premio speciale Giuria
Sezione Narrativa a tema

Accadde nel 1992, alla fine di agosto, un mercoledì, a casa di un malato con un tumore al cervello in fase terminale, mentre stavo lasciando cadere le sacche nutrizionali color latte sopra un mobiletto all’entrata, l’ascensore si era già rimesso in moto, e la padrona di casa in tutta fretta stava richiudendo alle mie spalle la porta rimasta aperta.

Fu esattamente in quella frazione di secondo che potei afferrare con la coda dell’occhio il capolavoro, l’opera d’arte, il meraviglioso quadro che nessuna collezione privata, pinacoteca, galleria o museo al mondo avrebbe avuto mai il privilegio di ospitare e occhio umano contemplare.

Io avevo avuto quel privilegio. Per un tempo infinitamente breve, ma lo avevo avuto. La padrona di casa a un certo punto fece un movimento che mi fece girare di scatto dall’altra parte e l’immagine sparì dalla mia visuale.

Più tardi, a casa, non pensai ad altro. L’opera d’arte, maestosa e sbalorditiva, che avevo afferrato con lo sguardo in casa di quello sventurato si era impadronita di me, della stanza, delle stanze della mia anima. Mai prima d’ora avevo provato un’emozione simile. Mai fino a quel momento mi ero sentito così felice, così diverso dall’uomo che pensavo di essere fino a un momento prima. Dunque, l’amore non era solo una chimera, l’illusione di un poeta romantico, la gemma che sfiorisce al primo rovescio di pioggia, l’inganno di un momento di passione travolgente. L’amore, l’amore con la a maiuscola esisteva!

Avrei voluto gridare al mondo la mia eccitazione, il mio stordimento, la mia ammirazione per quell’opera umana d’incomparabile bellezza, ma mi sentivo impotente e senza voce. Sperai, pregai, confidai di poter coglierne un piccolissimo frammento anche il giorno dopo, quando sarei dovuto tornare di nuovo in quella casa.

A quel tempo ero studente al DAMS di Bologna. Mi piacevano il disegno a mano libera e le stampe che ritraggono oggetti comuni e banali, che i cultori e gli appassionati di fotografia chiamano still life, natura morta. Non avendo l’obbligo della frequenza giornaliera, mi mettevo ogni giorno a disposizione dei malati di cancro in fase terminale seguiti dall’Associazione della quale facevo parte; quando non avevano bisogno di me, quando non avevo nient’altro da fare, quando mi sentivo ispirato e non avevo la luna di traverso, aprivo i miei libri, disegnavo nature morte e bozzetti di figure umane dai tratti mostruosi, sfogliavo riviste d’arte moderna e giornaletti pornografici. Dalle otto di sera alle due o le tre del giorno dopo, mi pagavo gli studi servendo birre alla spina e panini farciti ad automobilisti di passaggio in un bar che si trovava dall’altra parte della città.

Non avevo stima di me stesso, non avevo fiducia nel prossimo, nulla mi toccava il cuore, nulla mi commuoveva o esaltava. L’affetto, l’amore con la a maiuscola, la riconoscenza, la forza dei sentimenti non erano per me che parole vuote.

Di mio padre e mia madre conservavo uno sbiadito ricordo. Le cose tra loro andavano male e non si sono mai aggiustate. Vivevano come separati in casa e di me se ne fregavano.

Mio padre non conosceva la differenza tra un figlio e un estraneo. Quando era sobrio (succedeva raramente), quando non era in collera con mia madre (succedeva ancor più raramente), quando si ricordava di avere un figlio, si sedeva di traverso su una sedia, mi squadrava da capo a piedi, mi vomitava addosso frasi senza capo né coda e poi, senza darmi il tempo di parlare, di esprimere un’opinione o di dire al limite una cretinata, una qualunque, andava in soggiorno e si metteva a russare profondamente sul divano. Usciva da casa la mattina presto e rientrava quasi sempre a notte fonda. Cenava in silenzio, guardava un po’ la televisione e si metteva a letto. Una cosa positiva però ce l’aveva, mio padre: non mi ha mai messo le mani addosso. Aveva trentacinque anni quando gli fu diagnosticato il cancro alla gola che se lo portò via nel giro di poche settimane.

Mia madre se la intendeva un po’ con tutti: con un tale che si diceva spacciasse anfetamine davanti alle scuole, con un ex sergente buttato fuori dall’aeronautica, con un poliziotto della narcotici prossimo alla pensione, con un tizio che gestiva da qualche parte una bisca clandestina. Mi lasciava sempre solo in casa, non s’interessava di come andassi a scuola, mi guardava sempre con aria sospettosa, mi ripeteva fino all’ossessione che io ero un mancato aborto.

 A trentadue anni se la portò via uno scassafamiglie che si diceva in giro fosse nel giro grosso della prostituzione. Chi aveva messo in giro quella voce non si sbagliava: un tale di nome Paca, un grande puttaniere, una volta mi disse che in uno squallido monolocale si era appena fatto mia madre con ventimila lire.

Rimasto solo, fui affidato a zia Crocifissa, un donnone pieno di acciacchi e di risentimenti che, com’è vero che respiro, era mille volte peggio della strega di Hansel e Gretel. Eravamo sedici, anzi, diciassette in casa sua: oltre a noi due, c’erano quelli che zia Crocifissa chiamava i miei cari bambini: Valerio, Paride, Belva, Palloncino, Alice, Rosa e Flora, tutti cani di piccola taglia con le rotelle fuori posto; i gattoni un po’ stronzetti Bea, Emma, Donato, Natale e Pompeo e un paio di pappagalli verdi con due faretti spenti al posto degli occhi. Per mia zia, invece, io ero semplicemente un figlio di puttana, il figlio di quella puttana di mia sorella. Se non avesse avuto timore di perdere il sussidio mensile che i servizi sociali le passavano per il mio mantenimento, mi avrebbe volentieri cucinato e dato in pasto ai suoi cari bambini.

Ero poco più di un adolescente quando un inquilino del nostro palazzo, stimato e benvoluto da tutto il vicinato, sposato e padre di due figlie in età da marito, che un paio di volte la settimana veniva a fare le iniezioni intramuscolari alla zia, un giorno entrò di soppiatto in camera mia, chiuse a chiave la porta e, dopo avermi tappato la bocca con una mano, con l’altra si mise a trafficare per un minuto o due dentro le mie mutande.

A diciannove anni, mentre mi stavo recando al bar in cui lavoravo, sorpresi la mia prima ragazza entrare in un motel sulla tangenziale con un tizio pieno di soldi che conoscevo di vista. Non mi ci volle molto scoprire che aveva delle storie con uomini che le facevano dei regalini. Eppure mi aveva giurato eterno amore.

Disprezzavo l’amore, disprezzavo me stesso, disprezzavo tutti e tutto. Di mettermi con un’altra non ci pensavo proprio, di sposarmi e diventare padre ancora meno. Follie. Aspiravo a diventare un uomo alla mercé del caso. Punto.

L’amore, l’affetto, la tenerezza, la riconoscenza, la forza dei sentimenti? Balle, balle stratosferiche, ripetevo spesso a quelli che sostenevano il contrario. Ma erano davvero in pochi a dirlo, non mi costava un granché far prevalere la mia opinione.

Forse perché non mi sentivo del tutto a posto con la coscienza un giorno presi la decisione di dedicare qualche ora al giorno ai malati terminali: quando mio padre era ricoverato in ospedale, ero andato a fargli visita due o tre volte in tutto. Me ne stavo seduto su una scomoda sedia, buttavo là qualche frase di circostanza, e una mezz’oretta dopo me ne andavo sollevato.

La psicologa della Fondazione che mi aveva esaminato sentenziò che, tutto sommato, avevo le carte in regola per fare il volontario. Non ero un delinquente, un gonzo, uno scapestrato, anche se il rischio che avevo corso di finire su una cattiva strada o in psicoterapia, statistiche alla mano, disse, era stato davvero elevato. Come quasi tutti i malati di cancro, anch’io avevo avuto sfortuna nella vita. Inoltre, in quel periodo, loro erano a corto di volontari.

Ancora oggi entro nelle case dei malati con un sorriso genere still life sulle labbra e, in fondo al braccio, presidi sanitari e sacche nutrizionali. Non mi trattengo che pochissimi minuti. Entro, saluto, depongo le cose che devo consegnare e me ne vado. Ma a volte capita che una moglie, un marito, un figlio, una nuora, la fonte corrugata, lo sguardo assente, mi parli del malato o di come la vita sia crudele; altre volte che la sagoma di un uomo o di una donna mi si rivolga da sotto le lenzuola come si rivolgerebbe a un figlio, a un nipote o a un fratello e, con occhi velati e acquosi, mi domandi un po’ del mio tempo perché ha qualcosa da raccontarmi e domani potrebbe essere troppo tardi. Mentre ascolto la sua storia, labbra dure e pallide si allargano a dismisura, gli occhi si accendono come luminarie, da tutti gli angoli del viso germogliano bouquets di emozioni, le piaghe si ricuciono, le ferite si rimarginano.

Quando il giorno dopo bussai di nuovo a quella porta, mi tremavano le gambe. Il capolavoro, il tenerissimo frammento di vita reale che avevo intravisto con la coda dell’occhio il giorno prima mi aveva letteralmente sconvolto ed esaltato allo stesso tempo, aveva fatto traballare certezze che fino a un momento prima avevo creduto a dir poco granitiche. Mentre lasciavo cadere le sacche nutrizionali sul divano della sala da pranzo, mentre stavo dicendo alla padrona di casa qualcosa che lei, mugolando tra sé sottovoce, sembrava non voler comprendere, con la coda dell’occhio potei di nuovo catturare questa straordinaria, sbalorditiva istantanea…

Una stanza. Perduti nella penombra gli angoli e gli arredi. Tendaggi color febbre alla finestra, gonfi e sfatti. Un letto. Come una culla il letto. Un giardino d’infanzia la culla. Nella culla due corpi distesi, abbandonati sulla coperta. Verde perla la coperta. Come pietrificati i corpi. Di una bambina e di un uomo i corpi pietrificati. Occhi che si toccano. Sguardi che si penetrano. Pupille che si baciano. Del colore dei limoni acerbi le pupille. Dolce angolosità dei tratti dei volti. Come laghi prosciugati la fronte e le guance dell’uomo. Un che di biondo di lei (petali?) sul petto di lui. Spore di un sole ribelle i petali biondi. Lo stelo di un giglio (un braccio?) intorno al collo dell’uomo. La mano abbandonata sul cuscino. Dita sottili e morbide fluttuanti dentro solchi raggrinziti e devastati. Lattiginoso e pallido il cuscino. Con un cancro al cervello l’uomo, un cancro rigido e freddo, in chiaroscuro.

Fui travolto da un’ondata di stupore. Quello che il giorno prima desideravo fortemente potesse accadere di nuovo, si era verificato. Sentii la mia anima cantare, fermentare dalla gioia, fremere dall’entusiasmo. Repressi un grido. Mi precipitai a bocca aperta nella stanza, mi sedetti sulla sponda della culla, dilatai gli occhi verso quella meravigliosa composizione, felice che fosse reale. Poi con entrambe le mani mi afferrai la testa e scoppiai in un pianto dirotto. Lacrime infantili m’inondarono il viso, serrandomi la gola e il petto. In tutta la mia precedente vita non avevo mai visto nulla del genere. La natura viva che avevo davanti, sfuocata e asfissiante come l’aria malata della stanza, non si scompose, non si mosse, non si ritrasse tanto era perfetta.

Sentendomi piangere, la padrona di casa entrò silenziosa nella stanza. Si chinò a guardarmi, si frugò nella tasca della vestaglia, mi asciugò le lacrime con un fazzoletto, mi aiutò ad alzarmi, mi condusse per mano in salotto e mi fece sedere in una poltrona. Non mi fece domande, si limitò a mettermi in mano il bicchiere d’acqua che vuotai tutto d’un fiato, si sincerò che stessi bene, che fossi nelle condizioni di reggermi in piedi e, ricevute rassicurazioni da parte mia, mi accompagnò all’ascensore. Quando, sul pianerottolo, mi prese fra le braccia, gli occhi mi si riempirono di nuovo di lacrime.

Il mattino seguente, la segretaria della Fondazione mi chiamò al telefono. Mi disse che il paziente con il tumore al cervello era deceduto nella notte.

Erano le tre, tre e mezza del pomeriggio di un giorno di metà luglio. Stavo camminando lungo la battigia quando da sotto un ombrellone in quarta o quinta fila venne una voce di donna che gridava il mio nome. Istintivamente mi girai e guardai da quella parte così da poter distinguere la figura femminile che l’aveva pronunciato, senza riuscire, tuttavia, a mano a mano che avanzavo tra gli ombrelloni, a dare ancora una precisa identità al costume rosa e nero che ora mi stava facendo segno con ampi gesti della mano di avvicinarmi.

«Buongiorno. Mi riconosce?» disse quando le fui vicino.

«Buongiorno, dovrei?» dissi io con aria interrogativa.

Era una donna di circa trentacinque anni, alta e magra, con un viso dolce e sottile, occhi chiari, capelli neri corti, l’espressione intelligente.

«Mi chiamo Laura Rossi… ci siamo visti un anno fa a casa mia, un paio di volte… lei era quello che portava pranzo e cena a mio padre…»

La osservai meglio. Sì, i lineamenti erano proprio quelli, non c’erano dubbi, era la donna con i capelli arruffati, in vestaglia e senza pantofole, che l’anno prima, un mattino, mi aveva preso per mano, mi aveva asciugato le lacrime, mi aveva dato un bicchiere d’acqua zuccherata prima che collassassi davanti alla più grande ed eccelsa opera d’arte che mai pittore, scultore, poeta o fotografo avesse mai realizzato.

Sulle mie labbra si disegnò un sorriso di gratitudine. Spalancai gli occhi con una sensazione vivissima d’intima serenità: rividi la stanza, la culla, la sottile striscia di luce sull’orlo del cuscino, la mano nella mano, i biondi petali scomposti della bambina sul petto dell’uomo, i riflessi verde acqua dei suoi occhi in quelli spauriti e malinconici di lei. Di ogni particolare di quella scena quasi surreale aspirai il penetrante e propizio profumo, la celeste fragranza, il dolce fremito, il grandioso silenzio. Mi si fermò il respiro.

«C’è qualcosa che non va?» domandò lei in tono preoccupato.

«Tutto a posto» dissi io. «Un lieve capogiro… mi capita spesso ultimamente…» Raddrizzai le spalle e le porsi la mano.

«Lei come sta? Sta bene?» chiesi.

«Non c’è male. E lei che mi racconta, invece? Come procedono i suoi studi?»

«Ho dato sei esami quest’anno, non sono mica pochi sei esami… ho recuperato il tempo perduto…» Mi sentivo in imbarazzo. Cambiai discorso. «Come sta sua figlia?» domandai.

«Bene… ha finito la prima elementare quest’anno.»

«Tutti nove o dieci in pagella, immagino…»

«No, nessun nove, solo dieci!»

«Caspita, complimenti!» esclamai. “Ne sarà orgogliosa…»

«Orgogliosissima… anche la maestra dice che ne devo andare fiera, di Martina.» disse lei in tono compiaciuto. «Sa, signora Rossi» mi ha detto una volta «se tutti i bambini fossero come sua figlia, la scuola sarebbe un paradiso… ce ne sono certi che sono dei veri demoni…»

Annuii.

«Dov’è ora Martina?» domandai.

«È in acqua con suo padre… su quel materassino di gomma color fragola» fece lei, curvandosi e indicandomi con un braccio un punto preciso.

Guardai in quella direzione. Dove l’acqua arrivava sì e no a mezzo metro, una bambina di sei o sette anni in un costumino da bagno rosa antico, sdraiata a pancia in giù, i riccioli biondi che sbucavano dai bordi di una cuffietta azzurro cielo, se ne stava buona buona su un materassino rosso che qualcuno stava spingendo al largo.

«Sa» continuò «l’anno scorso, non c’è stato verso di farle prendere un giorno di sole. Io e mio marito ci abbiamo provato, ma non c’è stato nulla da fare… era irremovibile, al mare non ci voleva venire…»

Mi girai verso di lei.

«Come mai?» dissi dopo una pausa.

Lei mi guardò e disse:

«Mio padre e mia figlia erano una sola cosa… per Martina, nonno Gianni era tutto il suo mondo… Stefano, mio marito, era spesso fuori per lavoro, a volte stava via intere settimane, io avevo i miei turni al Pronto Soccorso… può immaginare… prima che il cancro lo riducesse a un vegetale, mio padre non viveva che per Martina… le aveva insegnato a leggere e scrivere, le aveva insegnato ad andare in bicicletta, facevano lunghi giri intorno a casa il pomeriggio, le leggeva le più belle fiabe e favole, sa quelle che oggi non si leggono praticamente più, guardavano insieme la televisione… soprattutto documentari sugli animali, sulle bellezze degli oceani, sulle foreste, gli uomini preistorici, le piante e i vegetali…» Qui si fermò di colpo, gli occhi umidi e tristi. Girò lo sguardo altrove. Si tolse un po’ di sabbia dalla spalla destra, poi tornò a guardarmi e riprese:

«Dal giorno in cui intuì che per mio padre non c’era più niente da fare, Martina si svegliava che era ancora buio, entrava nella camera del nonno, saliva sul suo letto, gli metteva un braccio intorno al collo, posava la faccina sul suo petto e lo guardava come rapita. Si guardavano in silenzio. Si parlavano con gli occhi, loro due. Lei rimaneva in quella posizione fino all’ora di pranzo. Il pomeriggio era la stessa storia. Io non osavo dirle niente, non osavo fare niente. La prima volta che provai a prenderla tra le braccia, ad allontanarla da mio padre, Martina, gli occhi velati dalle lacrime, lo sguardo supplichevole, la voce incrinata, mi disse:

“Mamma, perché mi fai questo?”

Lei, ragazzo mio, ha assistito di persona a quella che, a raccontarla in giro, sembra una storia uscita dal libro “Cuore” … dalla fantasia di uno scrittore sin troppo sentimentale…»

Assentii. Restammo ancora un po’ a chiacchierare. Lei mi parlò di com’era suo padre, di come probabilmente aveva contratto il cancro, il granchio, come lo chiamava Martina, di quello che avevano detto i medici, di quella lunga notte in cui se n’era andato.

Ci stringemmo la mano, ci augurammo buona fortuna e mi allontanai.

Mentre mi rivestivo guardai ancora una volta in direzione del materassino, ormai un puntino rosso in mezzo al mare. Scesi in acqua vestito, soffocando a stento i singhiozzi. Chiusi gli occhi per una frazione di secondo o due. Rividi come in sogno il meraviglioso quadro, tremendo e indimenticabile, che mi aveva cambiato la vita, me l’aveva fatta amare, mi aveva fatto amare gli uomini, i loro difetti e i loro travagli quotidiani. E per la prima volta, di fronte a quel puntino luminoso che si perdeva lontano tra le onde, ebbi la certezza che non ci può essere esperienza più bella di quella che l’Amore ci chiede di vivere.

Una vita all’insegna dell’indifferenza, di rapporti familiari inesistenti, di soprusi abietti hanno indurito il cuore del protagonista. Ma il miracolo accade: la visione di un nonno moribondo per il cancro teneramente abbracciato alla sua piccola nipotina porta il giovane a riconciliarsi con la vita e ad accettarne, pur tra lacrime di commozione, la dura e triste realtà. Interessante ed avvincente lo svolgimento narratologico.

ph Eleonora Mello

Gabriele Andreani, vive a Pesaro e lavora a Forlì. Laureato in giurisprudenza e in sociologia è stato anche professore a contratto in criminologia presso l’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”. È autore di alcuni saggi pubblicati su riviste specializzate concernenti la violenza, la devianza giovanile, il bullismo, la prevenzione situazionale del crimine, la deprivazione relativa e le armi. Nel 2014 è risultato vincitore del concorso di poesia “BRA DAY (Breast Reconstruction Awareness Day)” indetto dall’Associazione Musicale Culturale “Gian Matteo Rinaldo” Sambuca di Sicilia – Agrigento in collaborazione con gli Ospedali Riuniti Villa Sofia Cervello di Palermo. Nel 2015 ha ricevuto la Menzione d’Onore al premio di poesia indetto dal Salotto Letterario di Torino “Il numero UNO della Poesia Italiana Contemporanea” e, nello stesso anno, il Premio Speciale Miglior Racconto Noir con l’opera “Il respiro della primavera” al concorso letterario “Città di Grottammare” indetto dall’Associazione Culturale “PELAGSO 968”.

 

 

“La musica nel cuore” di Marisa Cossu


Premio Vitulivaria 2017 – IV edizione

La musica nel cuore
Marisa Cossu
V classificato
Sezione a TEMA

Tra le cose perdute

o nel disfarsi lento di una rosa,

nei sonagli d’argento incatenati

al percorso del vento,

nella voce del mare

risonante nella vuota conchiglia

abbandonata dal tempo

in un silenzio di sabbia,

nei canti mormorati da mia madre

mentre annoda i capelli;

io cerco te, o divina.

Tra le rovine del cuore,

nella follia che cancella la luna

e come una colomba di Magritte

vola con le note tra le nuvole,

io cerco te, che versi la tua essenza

nelle buie ore di solitudine:

mi allieta l’armonia, la tua presenza,

in un refolo di maestrale,

affinché io continui ad ascoltarti,

a consolarmi con la tua bellezza,

musica, e ritrovarti

nell’incerta canzone della vita

… e nel sentirti

mi si ferma il cuore.

Menzione d’onore

 Quando tutto sembra disfarsi, sfiorire, liquefarsi, perdersi e della voce del mondo e del profumo della vita non resta che un “silenzio di sabbia”, la musica è il balsamo per la solitudine e per le “rovine del cuore”. Frequente ricorso a figure retoriche come la “personificazione”, la “sinestesia”, che ben rappresentano i palpiti dell’anima.

ph Eleonora Mello

 

“È la musica!” di Bruna Caroli


Premio Vitulivaria 2017 – IV edizione

È la musica!
Bruna Caroli

II Premio Sezione a TEMA

Com’è che fremiti, battiti,

vibrazioni, colori e suoni

d’una giornata lungassolata,

mi penetrano

risuonano,

si stemperano così

sotto la pelle?

Sono archi,

arpe sono,

percussioni, fiati e campane.

Son sinfonie gioiose,

canti d’angeliche voci.

Arcobaleni fan

dei capelli miei

e delle cellule

vibranti armonie.

Nelle gambe ho lo swing,

un blues nel cuore canta

e le braccia violoncelli sono,

violini e viole.

 

Ma poi estatici sound respiro

e venature di mozartiane sonate.

Beethoven mi invola l’anima

verso le praterie del sole,

e l’inno alla gioia esplode

nell’infuocata galassia

del cuore mio.

Il poeta con un lessico specialistico assai pertinente mette in rilievo l’importanza che la musica assume nella sua quotidianità E si tratta di sensazioni, strumenti, balli, cadenze, musici che allietano e sottolineano ogni attimo della vita e rendono la realtà circostante degna di essere vissuta.

ph Eleonora Mello

Bruna Caroli nasce a Lecce il 16 marzo 1947. Si laurea in Economia e Commercio nel 1971 e successivamente insegna, per trentacinque anni circa, discipline economiche nella sua città.

Pensionata, si riscrive all’Università conseguendo la laurea in Psicologia “magna cum laude”. Nel 2013 pubblica un libro di poesie “Il gioco degli opposti” e nel 2016 pubblica “Lontano è Vicino” un libro sulla propria esperienza spirituale in India. Ottiene vari riconoscimenti come poeta. Attualmente, da pensionata, presta servizio da volontaria presso un Consultorio diocesano “La Famiglia” in qualità di Counselor e Mediatrice Familiare. Conduce gruppi di crescita personale e benessere psicofisico in qualità di Master in PNL e Yoga della risata.

 

Barcarolle di Cristiana Ioghà


Premio Vitulivaria 2017 – IV edizione

Barcarolle
Cristiana Ioghà
II Premio
Sezione Narrativa

Sul davanzale della finestra della stanza da letto, la nonna aveva posto un vaso di gerani. È tipica l’unicità di quel colore dei bei fiori ornamentali che, annusandoli, non sanno di niente, anzi, odorano di terra e di sale… sì, perché dietro a quel vaso di fiori, e dietro ancora, alla fine della strada tutta curve, e oltre i muri delle ville cosparsi di buganvillea, e oltre ancora la grande strada statale che costeggia la ferrovia, Iris poteva scorgere un pezzettino di striscia blu: il mare.

Iris si sentiva prigioniera in quella casa così grande, ma non era quella, la sua vera prigione, e neanche il carcere, quello vero, era stato tale: adesso, dentro di lei, la bambina urlava e strepitava disperata e chiedendo di oltrepassare quelle mura che le radici paterne avevano eretto per proteggerla.

Può sembrare che Iris pensasse al periodo della detenzione come da dimenticare, ma non era per niente così. Dopo tanto pensare, la donna indossò stivali e cappotto, prese l’immancabile, logoro zaino, uscì e chiuse la porta, lasciando dietro di sé la scia dell’odore acre e pungente del geranio rosso.

Iris camminava con passo svelto: era la sua naturale andatura, percorreva quei tornanti con la sicurezza di chi sa muoversi con agilità, con la scaltrezza che deriva dalla paura che ha un bambino di essere scoperto a fare qualche marachella, guardandosi ogni tanto indietro, per quella strada semideserta, verso il mare. Era un pomeriggio invernale e la striscia blu si faceva sempre più ampia, variegava i suoi toni in mille, fredde sfumature e si animava attraverso la miriade delle increspature portate dal mormorio del vento. E scendeva correndo, perché quei colori, sempre più profondi e il movimento sempre più incalzante delle acque, l’attiravano come una calamita;

ad ogni passo che l’avvicinava alla spiaggia, a ogni sguardo che posava sulle acque.

Sapeva che stava facendo una cosa strana, uscire con quel freddo, ma c’era un motivo che la spingeva verso il mare, come la luna che provoca la marea, sentiva il sale del mare che lava il dolore e porta via la paura.

Belle nuit, ô nuit d’amour
Souris à nos ivresses
Nuit plus douce que le jour
Ô,belle nuit d’amour!
Le temps fuit et sans retour
Emporte nos tendresses

Valerio era tutta la sua vita, era bello, brillante, pieno di premure. Vivevano insieme da tre mesi, era sempre pieno di soldi, tanti soldi. Aveva una bella rendita proveniente dall’eredità del nonno materno, il quale, in vita possedeva diverse proprietà immobiliari, ma aveva sempre una strana voglia di andare, di lasciare l’Italia.

Un brutto pomeriggio, si era ritrovata con due agenti di polizia che l’aspettavano al portone di casa con un mandato di perquisizione. Ne uscivano con dei pacchetti grandi quanto scatole di scarpe e Iris ammanettata. Così lei scoprì solo la sera stessa, e nel peggiore dei modi, che gli “affitti” che Valerio incassava, altro non erano che le alte percentuali derivate dal commercio di cocaina.

Valerio era sparito nel nulla, inghiottito insieme ai suoi palazzi, in una notte gelida di febbraio,

Ora, dentro una cella, Iris aveva preso sonno. Era in una pasticceria con la sua mamma a mangiare strani dolci al cioccolato, quando all’improvviso una fitta al ventre la svegliava di soprassalto e il sapore allettante di quelle paste ora si era fatto nauseabondo e si mescolava a quello acre e amaro delle tante sigarette fumate nella serata precedente.

Insieme al sapore, l’odore di sporco e di marcio del sangue: tanto sangue che scendeva dalle cosce, fino alle ginocchia. Iris emise un urlo di dolore, quasi disumano, riversando a terra.

Quando aprì gli occhi, una poliziotta le prendeva la mano e dietro di lei una collega: “Purtroppo il bambino lo hai perso”. Iris si concentrò attentamente per un secondo, immediatamente dopo mostrò uno sguardo mesto tra il contrito e il rassegnato, poi voltò il capo per nascondere l’espressione alle due donne che, lanciandosi uno sguardo d’intesa, uscirono dalla stanza. Iris, ora da sola, voltò di nuovo il capo, fissando il soffitto: non sapeva nemmeno del bambino, non immaginava, “potrei anche morire, adesso, così; non soffro e sarebbe perfetto”. Allora rise, poi si abbandonò al sonno artificiale degli antidolorifici.

 Poi la bellezza della musica. E di Isabella.

Isabella era una musicista. Per via di un brutto incidente automobilistico, aveva dovuto rinunciare a qualsiasi aspirazione di carriera. Si dedicava all’insegnamento ed entrata a far parte di un’associazione di volontariato, aveva aderito con entusiasmo a un progetto di animazione teatrale e corale presso l’istituto di pena, dove Iris scontava la colpa di qualcun altro.

Le giornate, da quando c’era Isa, non erano più le stesse, Iris si era appassionata al canto, aveva imparato che la sua voce non era fatta solo per parlare, per gridare, ma poteva creare alchimie sconosciute e affascinanti. Di aria, che prima sentiva le mancasse, ora ne aveva in abbondanza: essa riempiva i suoi polmoni, spingeva giù il diaframma e, trattenuta per una frazione di secondo, fuoriusciva emettendo fiori profumati e gemme preziose, come nella fiaba di Andersen. Grazie a Isa, la sua vita era di nuovo un turbinio di colori. Iris non si sentiva così da quando la mamma la portava alle giostre, il carosello che girava e girava la faceva sentire lieve e gaia, come una farfalla: libera di volare.

Grazie all’esperienza del coro, Iris aveva capito che la sua voce poteva comunicare qualcosa di diverso dalla rabbia; così aveva tentato di riallacciare il rapporto con il padre, ma lui non si era fatto vivo, nonostante l’invito.

“Si vergognerà di me”, pensava Iris

Poi venne il momento del commiato. Iris non poteva credere che quella quotidianità si sarebbe interrotta per sempre. Si appartarono nei locali, dove si riunivano per le prove e si strinsero in un abbraccio: le prese si facevano più forti, quasi soffocavano, poi, si fissarono a lungo e si abbandonarono a un bacio profondo intenso, come se le due bocche, annaspando, esplorandosi disperate, cercassero di dissetare una sete che durava da mesi, esattamente da quando si erano viste la prima volta.

E si cercavano e si baciavano ancora e ancora…

Si scrissero per un po’ di tempo, poi, dopo due mesi, nulla più.

Finalmente, dopo un anno arrivava la libertà, e il giorno che usciva dal carcere, fuori, ad aspettarla trovò il padre.  Le tendeva le braccia, quell’uomo stanco e smagrito e Iris si lanciò, ormai imbelle, verso colui che l’aveva generata e che amava. “Ho solo te” pensava e si strinsero in silenzio.

Iris era tornata nella casa paterna e lavorava a stretto fianco del padre nella sua azienda. Era rimasta però in contatto con la direttrice e le amiche del carcere. Aveva saputo che Isa aveva lasciato l’accademia e aveva deciso di seguire il marito.

I ricordi si scioglievano nell’ultima spirale di fumo di una sigaretta che non finiva mai e che lasciava dissolvere le volute biancastre, nel grigio plumbeo delle acque: stava facendo sera.

 Le temps fuit sans retour
Zéphyrs embrasés
Versez-nous vos caresses

 Non poteva fare a meno di sentire quelle onde marine che la scavavano dentro, scandivano il tempo con il loro ritmo e aumentavano e diminuivano l’intensità.

che cresceva con il crescere del vento e si calmava con il suo quietarsi e lei sentiva ancora quel seno contro il suo fino a comprimerle il petto e toglierle il respiro, quel respiro che lei stessa le aveva insegnato a comandare. Una volta, dopo aver ascoltato il duetto “Barcarolle”, aveva chiesto a Isa se un giorno l’avrebbero provata insieme, e ora ripensava all’ebbrezza di quel canto, alle due voci che s’intrecciano come due corpi e il pensiero la eccitava, provocando in lei imbarazzo e vergogna. Isa dove sei? Mi manchi, la musica che c’era in te era la più bella che avessi mai sentito, mi hai insegnato a essere libera. Perché sei voluta entrare tu, in una prigione? Volevi provare quello che ho passato io? Forse l’amore per te era lasciarmi andare perché non subissi la vergogna del giudizio della gente? hai voluto prendere la croce e adesso cosa faccio della mia libertà, Isa?

Il vento si era fatto più forte.

Iris…Iris… Una voce affannata la chiamava dalla strada, Iris era già arrivata a riva, gli stivali bagnati, le onde castane dei capelli, intrise di salsedine, tanto, tanto freddo… era una voce di donna, la voce di Isa! Iris era come paralizzata, non aveva il coraggio di voltarsi, lo stomaco era arrivato in gola e il cuore batteva forte, troppo, i colpi facevano rumore e superavano il ritmo incalzante delle onde con un tempo impazzito ancor di più. Stava oscurando e le onde avanzavano sempre più, nel loro flusso.

All’improvviso si sentiva cingere la vita e Isa la voltava a sé, le prendeva il volto tra le mani e la baciava.

 Era crollata qualsiasi barriera, le porte della prigione sfondate per sempre.

I fiori sono fatti così, maschio e femmina in un unico corpo. L’amore è una parola unica, vuole dare, non avere, e non guarda chi sei, e quando lo trovi, l’amore, non puoi farlo fuggire.

I tuoi gerani rossi guardano il mondo fuori, Iris, e tu sorridi, per la prima volta tra le sue braccia, ammirando, sconfinato, profondo, e meravigliosamente blu, il mare.

Il racconto di riconoscersi finalmente per quello che si è, senza infingimenti, senza maschere, senza ambiguità. E la meta è spesso costellata di ardui sentieri, di prigioni, immaginarie o reali. Ma finalmente la musica, il mare, l’abbraccio di un familiare a lungo desiato possono fare il miracolo e portare all’accettazione del proprio vissuto e delle proprie aspettative.

ph Eleonora Mello

Cristiana Ioghà, nata a Roma nel 1967, esercita l’attività di docente nella scuola primaria. Ha collaborato con la rivista “Lazio ieri e oggi” ed è la prima volta che si cimenta con la produzione di un testo narrativo.