Ogni zampillo è un sogno, pensava il vecchio,
i piedi sommersi, sopra ai ciottoli, i ricordi riflessi,
le orme piegate ai padri e alle sementi antiche,
l’acqua raccolta a coppa sull’arsura della vita.
Aveva vissuto così il vecchio, sotto cieli aperti
alla calma e al mugghiare della piena invernale,
a dissodare radici di spighe e pampini d’argilla,
tra luci ed ombre, ai margini di una sponda.
Aveva vissuto lì il vecchio, dove i respiri
lasciano sulla sabbia impronte compatte
e la vita immortale ne cancella ogni traccia.
L’acqua non ha memoria, pensava il vecchio.
Scende a dirotto, lenta, segue un percorso,
erode, alliscia i giorni per poi sprofondare nel cosmo.
Secondo una logica non umana annega
e poi risorge in un andirivieni infinite di forme.
-Eppure è lei che incessantemente mi canta –
pensava il vecchio, è memoria della mia giovinezza,
indica la strada primordiale della mia essenza.
E’ memoria senza memoria della mia esistenza!
Floredana De Felicibus
Terzo Premio Sezione B
Il titolo e il verso finale della poesia ribadiscono la profonda convinzione del vecchio protagonista che l’acqua non abbia memoria. È quasi un assioma del suo elucubrare sul senso del vivere: l’esistenza dell’uomo effimera di fronte all’eternità. Eppure in quel suo riannodare i fili della memoria si percepisce un senso di certezza della vita e i “respiri” del suo essere uomo si definiscono in “orme compatte sulla sabbia”, fintanto che l’immortale giro del tempo non ne cancella le tracce. E nondimeno l’acqua immemore canta della sua giovinezza e zampilla nei suoi sogni. È un tuffo lirico nella liquidità dei ricordi che si fa memoria di giovinezza nella parabola esistenziale del vecchio protagonista.[A. Teni]