né mai più godrò – nel giorno acerbo –
dei merli umili sonori i trilli:
pur se ormai tepida l’aria
non hanno eco alcuna i neri canti
fremendo ali fra cortecce frante
su fronda fresca gemma
delle Apuane ammantando
nevi candide ai picchi
Febo nasce gracile da Oriente:
grigie brume sulla piana d’Arno
sono un uomo inerte
dopo lunga notte meditando:
l’alba distrugge – ahimè – residui sogni:
riannodo – tra le dita – i miei ricordi
peregrinando con l’animo in bonaccia:
voglio infiorarli di aggettivi acconci
irsuti / tristi ora melliflui / dolci
accampando minime speranze:
– non sono colono vigoroso
a gettar seme nell’avaro solco
– né rifinito cacciatore
chino su fresche orme nel bosco
– né paziente pescatore
con ingannevoli esche giù nel flutto
sono schiavo: ai malleoli
sonanti ceppi di ferro
appesantiti dall’andar del tempo
a sera – smembrate le catene
la bocca dall’odor di latte –
vorrei una stella a portarmi nella culla
di mia madre il riso conoscendo
e ri-approdare – sano – nel suo grembo
e voglioso tornare
– come ri-nato – al Nulla
e né più mai un risveglio
in mattiniere trenodie d’uccelli.
Giovanni Bottaro
Finalista Sezione B
VII classificato
Il poeta, con stile aulico e classicheggiante e il sapiente ricorso a figure retoriche e alla mitologia -“Febo nasce gracile da Oriente”- , adotta una lingua desueta e tuttavia pregna di lirismo con l’intento di trasmettere il messaggio dell’ineluttabile trascorrere del tempo. Il corpo invecchia e si trasforma e si gioisce solo nei ricordi del passato e nei “residui sogni”che “l’alba distrugge”.Il risveglio fra “trenodie di uccelli” in quelle stagioni dolci della vita,ora viene visto con disappunto perché riconduce alla realtà di un’età che spegne i desideri e la speranza. La sera diviene l’occasione per placare l’angoscia dell’anima e per un ritorno all’infanzia perduta. È quasi un empito foscoliano al nulla eterno per poter rinascere ancora nel grembo di una madre. Toccante e profonda.[M.R.Teni]