Archivio mensile:febbraio 2022

GLI AUTORI DI VITULIVARIA: Claudia Petracca – “La pelle del serpente” – Primo Premio


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“Gli Autori di Vitulivaria”

CLAUDIA PETRACCA – Lecce
con la silloge poetica “La pelle del serpente”

(L’officina delle Parole, 2016)

PRIMO PREMIO VITULIVARIA 2021

Considero un privilegio presentare Claudia Petracca e la sua opera postuma, “La pelle del serpente”, classificata al 1° posto nella sesta edizione del Premio letterario “Vitulivaria-memorial Gerardo Teni”. Mi piace renderle onore attraverso le parole che le hanno dedicato il marito Carmelo e i figli Stefano, Chiara, Francesco

la pelle del serpenteTi rivediamo in questi tuoi versi,
rivediamo la bellezza del tuo volto
e la dolcezza della tua anima,
rivediamo l’amore che ci hai trasmesso
e l’affetto silenzioso e sincero
che ci hai insegnato.
A te che non finirai mai
di deliziare il nostro spirito
con il flusso armonioso
delle tue parole

incise su carta e per sempre
nella memoria,
linfa per noi che ci siamo
nutriti del tuo amore
e per tutti coloro che ti hanno amata
per come sei tu.

Carmelo e i figli Stefano, Chiara, Francesco

Si legge nelle prime pagine della silloge ciò che Claudia ha scritto rivolgendosi alla Poesia: “La conobbi ch’ero ancora una bambina, ma Lei ancor prima mi conobbe, ch’ero ancora un abbozzo di pensiero. Il mio primo vagito fu un verso strampalato, rauco, sordo, asciutto; una disperata preghiera di liberazione da quell’ignoto, il Nulla che già mi cingeva le tempie. E a quel Nulla, da cui spira la poesia, si ispira la mia poesia. Nel mio vagare, lungo i perimetri esistenziali, anelo all’appiglio vitale, al dolce asilo, a quel corrimano, così ne dà una definizione Wislawa Szymborska, che è l’unica salvezza a cui aggrapparsi, pur non conoscendone l’identità oggettiva. La poesia è riconducibile soltanto all’Io, l’indefinibile essenza, saperla cogliere significa raggiungere il baricentro intimo di noi stessi ma, paradossalmente, anche perdersi in esso per ricongiungersi in armonia con l’Altro. Mi giungono in soccorso gli estranei incanti, di roussoniana memoria, a sancire questo patto vitale e poetico. Essi rappresentano l’anello di congiunzione possibile tra l’io e l’altro, tra la mia società e l’altra società, tra la natura e la cultura, tra il sensibile e il razionale, tra l’umanità e la vita. Rapimenti, ispirazioni che giungono da chissà dove, dall’altra parte di noi, estranei dunque e inesprimibili se non “in canti”, vettori emozionali che toccano e riempiono, con la loro leggera essenza, altre esistenze. È a questo punto della mia vita che avverto la necessità di lasciare un’impronta della mia esperienza poetico-letteraria. Lo faccio con questa silloge, la mia prima raccolta di poesie, in cui è tracciato un percorso lirico, intimamente legato ad un cammino personale, evolutivo, che mi è costato non poca fatica. Mi metto a nudo e lascio cadere alcuni veli dalla mia anima. Mi svelo, dunque, mentre avanzo lungo la strada che mi accoglie e riconosce la mia nuova pelle.”
Claudia Petracca

Nella prefazione, Pompea Vergaro, Direttrice della Casa editrice L’offcina delle parole, ha reso con profondità   la straordinaria personalità di una Poetessa di rara sensibilità e di squisita eleganza: “Claudia, la profonda passione per la meraviglia della parola scritta. Un nuovo scenario si è offerto ai miei occhi trovandomi di fronte a questa pagina. Se alcuni mesi fa sarebbe stato il palcoscenico di una gioiosa presentazione poetica, quel sipario è calato ed è sceso il silenzio. Oggi senza la presenza della poetessa e amica Claudia ogni cosa è cambiata. Qui il sipario si può aprire solo sulla memoria. Claudia Petracca, l’autrice che tanto aveva anelato, tra mille dubbi e desiderio, questa pubblicazione, prematuramente e inaspettatamente non è più tra noi, come mestamente si suol dire. Ho ri-letto le sue poesie non più a cuor leggero prima di redigere alcune brevi riflessioni e mi è parso di incontrare ancora un’altra Claudia. Se nei giorni della progettazione di questo libro avevo sostato sui suoi versi, ora mi sono sentita affondare, sprofondare nelle viscere della sua parola per sentirmi sbalzata fuori con nuove
scoperte: le confidenze tra donne fatte di risate – Claudia amava tenere la gioia in un cantuccio della sua anima senza proporla di sua iniziativa, ma appena gliela offrivi, sorprendentemente, balzava fuori – fatte di malinconie e caffè al bar, come anche le corrispondenze letterarie, se così possono definirsi, quelle sono restate tali. E mi piace parteciparne due, legate a questo libro. Un pomeriggio, come spesso solevamo fare, condividendo un caffè, le racconto di una lunga pelle di serpente che era stata trovata
nella mia campagna nell’entroterra brindisino, in contrada Santa Maria.  E tra alcune considerazioni e sorseggiando il caffè le chiedo se conoscesse quel pensiero di Friedrich Nietzsche: “Il serpente che non può cambiar pelle muore. Lo stesso accade agli spiriti ai quali si impedisce di cambiare opinione: cessano di essere spiriti”. Due giorni dopo, Claudia mi telefona e mi dice che mi ha inviato una poesia per email. Aveva composto con mia grande sorpresa e gioia “La pelle del serpente” che poi è diventato il titolo della silloge, sostituendo quello che precedentemente avevamo scelto. Claudia in un altro nostro incontro con caffè mi parla e mi chiede se conoscevo “Passeggiate Solitarie” di Jean- Jacques Rousseau da cui aveva tratto un pensiero, ora inserito in quarta di copertina di questa pubblicazione. Incuriosita, corro in libreria e lo compro!  Erano questi gli scambi che spesso accadevano tra di noi e che tanto ci entusiasmavano. E ora cosa resta? Restano le preziose “sudate carte di leopardiana memoria” come Claudia soleva spesso dire con quel suo morbido sorriso che celava un po’ di malinconia quando accennava alla sua scrittura. E noi cosa possiamo fare per lei? Semplicemente impegnarci donandole al mondo.

rose-1807227_960_720La pelle del serpente
Dedicherò pochi pensieri a “La pelle del serpente” per non turbare il silenzio, quel prezioso silenzio che esige la poesia, soprattutto in questi giorni. La silloge, i cui versi possiedono vigore poetico, rigore linguistico e una personale cifra stilistica, è suddivisa in 6 sezioni: Terra mia, Amore Amore, Nei deserti, Parole (tracciate), D’Autunno, De il mio vagare. Due poesie aprono e chiudono l’Opera: La pelle del serpente/ …E basta, basta poesia! Sfogliando le pagine incontreremo i cangianti stati d’animo che la poetessa vive quotidianamente in piena consapevolezza: l’amore e la stessa poesia, l’isolamento e il dolore, la disillusione, l’attaccamento alla terra salentina e a Lecce, la sua città natìa, la meraviglia della parola. La poetessa ama scandagliare e ritmare le parole come vorrebbe fare con l’ esistenza, ma la vita, spesso, si sa, è altro. Ella è fuori da tutte le cose delle quali parla, non al di sopra. Per esserlo esige di penetrare in loro. Per questo ha bisogno della Poesia, perché tutto sommato le appartiene, è qui che si sente libera. È qui che risiede la sua speranza di salvezza. È qui che confida di cambiar pelle e accendere quella rossa scintilla”

Mattino field-6574455_960_720

La bellezza d’un mattino che si schiude, illumina la stanza.

Dolce è il suono delle tue parole che fluttua leggero
e si condensa nella tazza del caffè, che sorseggio beatamente.

Un pensiero fragrante scrocchia nella mente,
sbriciolandosi istantaneamente:
è veramente giorno,
o è solo il retrogusto di un sogno
che ostinatamente sopravvive alla notte?

grass-3743023_960_720La pelle del serpente

 Immobile,
il serpente cambia la sua pelle. Nel tremore di incogniti scenari piange di cieco abbandono.

Vulnerabile e indifeso, nell’indicibile ed incomprensibile squarcio di vento tagliente, soffre la sua condizione fissata come un chiodo nel lucore incerto di una giovane alba che stenta ad allentare
gli anelli bruniti dalla notte.

D’un solo passo è lungo il suo travaglio,
inevitabile e indispensabile condanna alla sua sopravvivenza,
si sfila il vecchio sé;
quel guanto logoro, oramai segnato da ruvide stanchezze
è consegnato al tempo.

Si muove ora il serpente, ha reso l’anima,
in quel rigurgito d’esistenza, in quel grumo di terra
che l’ha inghiottita, finito e illimitato, violento come la morte,
ha reso l’anima, per continuare a vivere.

Commento critico: Poesia ricercata dove ogni parola ha in sé la gravità della terra e la levità del cielo.  Il verso scava nel profondo, “nei duri solchi dell’esistenza” per cercare la luce della suggestione e del sentimento. Una continuità nell’esistere e nel resistere, al pari del serpente che, nel momento in cui si libera della vecchia pelle, ne ha già una nuova per continuare a vivere. Claudia rivive nella sua poesia, che rinasce a nuova vita e attinge alla sorgente delle emozioni; è un viaggio che compie nell’intimo dove l’Io si confonde con l’assoluto per svelare se stessa e rivelare il messaggio e il segreto della poesia: l’Amore.

 Claudia Petracca

nata a Lecce, il 13 Giugno 1968, consegue il diploma di Maturità Classica e frequenta la facoltà di Lettere moderne all’Università del Salento. Sue pubblicazioni sono presenti nella raccolta Poetika vol. III (Onirica edizioni) e nella raccolta Poetika vol.V (Onirica edizioni). Nel 2009 pubblica “Pietre” (Ed. Il Filo),romanzo breve al quale sono assegnate note di merito e, nel 2010, le è conferito il “Premio Nazionale Città di Fucecchio (Fi)”. Nel 2013 pubblica “Un volo sulla cenere”, che racconta una storia ambientata fra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento. Il romanzo è finalista al Premio Nabokov 2014. Nel 2015 partecipa a Libertàpluralefemminile” mostra “Kaleidos” di Carlo Massimo Franchi (nell’ambito di Itinerario Rosa 2015), a cura dell’Associazione Mimose e L’officina delle parole, con il testo “Prospettiva Cvetaeva (Marina libera come una donna)”. Dal 2015 inizia a curare una rubrica quindicinale culturale-letteraria su Corrieresalentino.it, dal titolo “Volta la carta”. Muore prematuramente il 3 gennaio 2016,  stroncata da un brutto male. Nel 2016 viene pubblicato, postumo, il libro, “La pelle del serpente” (L’officina delle parole).